Lettera a Clara

Amore mio, Clara, il sole entra prepotente in questa piccola stanza ormai spoglia delle tue cose. Rimane solo quella foto in bianco e nero appoggiata sul comodino: tu, bella e pallida, seduta sull’altalena di quel giardino tempestato di margherite. Parlavamo del nostro futuro, quando non avevo ancora nostalgia del vento che cullava i tuoi fianchi. Quando avevi la forza di lottare per me, per te e per il nostro amore.

Sono in prigione in questa camera, dove la mia ombra riflessa sul muro mi fa paura. Mi lamento ad alta voce. Parlo alle pareti, ai quadri, alla scrivania, al tappeto. Parlo e per un po’ scaccio la rabbia di non aver saputo tenerti con me. Urlo contro la vita, che è così cerebrale, così poca per poterla sprecare nell’infelicità e nel rimorso.

Non trovo più serenità nello scrivere, nel suonare, nel cantare. Eri e sei solo tu il mio piacere. Senza di te puzzo di inutilità. Se penso, amore mio, alla tua carne adesa alla mia, alle nostre gambe strette in una morsa, in un abbraccio soffocante, alle nostre mani che si rincorrono, cercano, sfiorano, premono, muoiono e rinascono lungo i nostri corpi spogliati…

Le mie mani cercano disperatamente il tuo consenso, lisciando i tuoi seni che sono mele caramellate. La tua pelle è per me come lo zucchero filato per un bambino: puro appagamento. La tua bocca sul mio collo, la mia lingua che violenta la tua. Non posso non tremare anche mentre scrivo queste parole. Il ricordo della nostra prepotente passione mi fa sussultare sulla sedia, e devo stringermi le ginocchia per soffocare il calore che nasce e mi rimbalza nelle viscere.

Come posso, amore mio, svegliarmi al mattino e non desiderare un nodo scorsoio? Come posso, mio calore perfetto, non voler morire in te? Dall’alba al tramonto, la mia mente e il mio corpo si ribellano alla tua assenza. Voglio vedere ancora quel gesto dolce e amabile di quando annodavi i tuoi capelli in una treccia e, se penso, amore mio, a quando quella seta castana viene sciolta sulle tue spalle… ogni capello è una spada di dolore.

Non ho più un cuore, un pezzo alla volta l’ho strappato e regalato a Dio. Sì, a lui che del nostro amore non si vergogna. Perché tu non hai il coraggio che ho io? Perché sai solo ripetermi che il mondo non è pronto per noi? Lo sarà, mio amore, lo sarà presto. Torna, ti prego, a farmi godere della tua presenza, torna tra le mie lenzuola e tra le mie mani.

Verrò a prenderti, ti avvolgerò e sentirò di nuovo il tuo dolce velluto. Ti prenderò, amore, ti porterò via e, addosso al portone del primo palazzo che ci darà spazio, ti farò mia di nuovo. Correrà la mia bocca nell’incavo del tuo collo, divorerò ogni centimetro di bellezza, il tuo sospiro sarà il mio e, prima che stupide parole scappino dalle tue labbra e che sciocche persone ci scoprano, saremo ancora noi e il nostro amore.

Nessuno può dire cosa sia o no contro natura. Chi oserà parlare, chi sporcherà la nostra vita con il pregiudizio, con luride e volgari parole, chi vorrà giudicare, chi si farà scherno del nostro amore: saranno queste inutili persone a essere contro natura. Dio non ama chi non è tollerante.

Aspetto che tu prenda forza e faccia di me una donna felice, la tua donna. Sono in attesa di te, mio amore, qui a casa nostra, con tutto il desiderio che solo tu conosci.

Tua,
Anna.

 

Pubblicato per Montegrappa Edizioni nell’antologia “Amo lei”