Giostra a cavalli

È uno di quei pomeriggi in cui l’inclinazione dei raggi è perfetta, quel chiaro scuro che si insegue durante tutto il giorno. C’è un leggero vento e i colori colpiti dal sole sono brillanti come in una tela di Monet. Sono i colori caldi dell’autunno, gli stessi del foulard che aggroviglio intorno al mio collo in questa stagione.

– Matteo muoviti! – sento una voce alle mie spalle, non ci penso e corro verso quella giostra a cavalli che sta per fermarsi. La musica che si sente uscire dalle casse è uguale a quella del carillon di mia nonna, quello che teneva chiuso nella credenza e che io di nascosto andavo a rubare. Lo mettevo sotto la maglietta e a perdifiato raggiungevo l’albero più lontano, mi stendevo sotto e giravo la vite color ottone fino alla fine, fino a farla sforzare, fino al suo ultimo respiro. Salgo al volo sulla giostra prima che riparta per dei minuti di instabilità pura. Sono imbranato, ma riesco a salire in groppa a un cavallo bianco e raffinato, ma troppo agitato. Nonostante possa sembrare uno di quelli della regina d’Inghilterra mi ritrovo un toro scatenato tra le gambe. Provo ad accarezzarlo, a parlargli, ma non funziona, parte all’impazzata per raggiungere il gruppo poco più avanti. Sorrido ai passeggeri che mi trovo di fianco come a scusarmi dell’invadenza del mio destriero. È in questo preciso momento che mi rendo conto che a cavalcare una docile cavalla c’è mia nonna. Non ci capisco più niente, cosa ci fa mia nonna qui adesso?

– Nonna! – mi affretto ad attirare al sua attenzione – cosa ci fai qui? Tu sei morta!

– Ah Matteo, tiè! – molla la briglia e sembra perdere l’equilibro, ma guardandomi negli occhi sfodera dalla mano destra le corna, puntandomi addosso l’indice e il mignolo. Penso che non cambierà mai, è rimasta la solita superstiziosa.

– Nonna, non sei mai salita in una giostra con me, perché ora?

– Ci sto adesso perché devo dirti delle cose che non ho avuto il tempo di confidarti, forse perché non le avevo capite o forse era giusto che io tacessi. Prima o poi caro Matteo, arriverà il tuo giorno, abbi fede, sarai tu l’uomo più felice della terra, perché sarai finalmente libero. Smetterai di piangere la notte con la testa sotto il cuscino, sarai amato come ti meriti che sia. Sii felice Matteo, sii fiducioso! – e con uno scatto repentino doppia il mio cavallo. Provo a raggiungerla, ma prende il largo verso il fiume ed io non ho il coraggio di lasciare questo girare perpetuo attorno a un’asse. Chissà cosa voleva dirmi nonna, non ho trovato un senso alle sue parole. Io sono libero. Non faccio in tempo a rallentare che mi affianca un ragazzo. Non lo riconosco subito, non è molto bello, anzi, ha la faccia gonfia di brufoli e i capelli a caschetto così unti da stare immobili sulla testa troppo grande. Non ci posso credere, sono io a quindici anni e indosso quell’orribile t-shirt dei Ramones, quella a cui ho dato fuoco l’ultimo giorno di liceo. Sapevo che stamattina dovevo rimanere a letto, chi me l’ha fatto fare di svegliarmi presto, vestirmi bene per precipitarmi qui. Lo fisso mentre lui ride a crepapelle. Non ho mai riso a quell’età, è stato proprio un periodo buio. Passavo gran parte del mio tempo in bagno, per poi uscire e rintanarmi tra le coperte a rimuginare su ciò che avevo fatto, ma soprattutto a piangere per chi desideravo.

– Bello Matté! – esordisce così il me stesso giovane – a saperlo che sarei uscito dalla buca in cui stavo a questa età me la sarei vissuta meglio la mia adolescenza. Ti rendi conto di come mi hai fatto vivere tutti quegli anni? – Credo sia una domanda retorica perché so bene come ho fatto a sopravvivere a quell’inferno. – Dovevi avere più palle Matteo, dovevi prendere in mano la situazione e spiegare chi eri, non aspettare che facessero la rivoluzione per te. Sei sempre stato uno che se n’è fregato di quel che era, ci moriva, ma se ne fregava. Pensavi che non sarebbe stato un problema, che ti sarebbe passata, invece caro Matteo non è passato proprio un cazzo! Non era un’influenza, non c’era niente che doveva essere curato, ma ti piaceva piangerti addosso e gridare sotto al cuscino che il mondo era una merda! Dimmi, cosa è cambiato? Tutto o niente? Dovevi avere più palle Matteo! Spero che negli anni ti siano cresciute insieme alla coscienza di accettarti!

Anche lui, dopo due minuti di predica con un balzo repentino raggiunge un ragazzo della sua età in sella a un destriero nero, gli sorride e per mano volano via. Che giornata! E non migliora, non migliora per niente!
Questo oscillare mi sta facendo venire la nausea, non so neanche perché ci sono salito su questa giostra, ho sempre odiato i movimenti circolari che non portano a niente, voglio scendere da questo incubo, girare intorno non mi piace più. All’improvviso il mio cavallo si imbizzarrisce, scalcia, ma non ne capisco il motivo. Qualcosa deve averlo punto sul didietro, mi volto e un bambino che avrà quattro anni sta tirando per la coda il mio già ingestibile purosangue.

– Cosa stai facendo! – gli urlo contro – smettila di tirargli la coda che mi farai cadere!

– Non mi riconosci Matteo? – chiudo leggermente gli occhi per mettere a fuoco la faccia da schiaffi e capisco che sono io a quattro anni.

– Anche tu? Proprio oggi? Ma cosa volete tutti da me?

– Stai calmo Matteo! – dice con un tono di rimprovero da adulto – sono qui per te, per farti capire che devi cominciare a viverti la vita.

– Io sto già vivendo! – lo aggredisco dimenticandomi che è un bambino – sei tu che non esisti più!

– Sei proprio sicuro Matteo che non esisto? Eppure sono qui al tuo fianco e ti sto parlando. Sai quando a questa età giocavi in spiaggia con Sergio? Chi l’avrebbe mai detto all’epoca. È stato difficile essere te, hai preso decisioni sbagliate che ti sono costate pianti isterici. Hai lasciato per strada molte persone che pensavi non potessero capire, ma adesso cosa salveresti? Dovevi vivertela meglio e lo so che il mondo è un brutto posto, pieno di brutte persone, mamma lo ripeteva sempre, ma dovevi credere di più nella forza che avevi dentro, dovevi combattere Matteo, perché le rivoluzioni si fanno in piazza non seduti sul divano a guardare la televisione. Eppure qualcuno l’ha fatta e la farà per te, qualcuno ha deciso le sue priorità, ha deciso che il brutto mondo poteva essere qualcosa di migliore. Non fartene una colpa, non tutti sono destinanti a cambiare le cose per un paese intero, l’importante è che tu non abbia più paura di te stesso. Ti saluto perché mi è venuta voglia di pane e marmellata e se mi muovo la nonna me lo prepara! Ciao Mattè sii grande, sii forte, sii libero!

Il tempo è sembrato dilatarsi, ho la sensazione di aver parlato per giorni e che questo bambino fosse troppo sveglio per essere veramente me. Tutti a dirmi di essere libero, ma cosa ne sanno loro, io lo sono! Libero di arrabbiarmi, di urlare, di mangiare una pizza, sono fottutamente libero! Anche se mi sono innervosito il pensiero di Sergio bambino mi fa tornare il sorriso.

Per fortuna il giro in giostra è finito, ma la musica no, seduto su una panchina vedo il piccolo Sergio che gira e rigira la chiave del carillon di mia nonna. Non si ferma, Sergio ogni secondo è intento a caricare l’ingranaggio, ossessivo come se non volesse sentire altro, nemmeno la debole voce del giostraio che ripete “solo due euro e sarà il giro più importante della vostra vita”. Do l’ultima carezza al mio compagno di viaggio, mi sembra di averci passato anni interi in groppa a questo puledro e mi dispiace doverlo lasciare, ma la pedana comincia a muoversi, un altro giro non potrei sopportarlo. Nitrisce imbizzarrito e saltellando corre via mentre io scendo sulla terra ferma.

Le foglie rotolano inseguendosi sull’asfalto e tra le nuvole si intravede un sole calmo che sembra spegnersi poco a poco. Respiro a bocca aperta quasi a mangiarmi l’aria che mi sembra di essermi guadagnato dopo tutto questo casino. Mi incammino e dal lato opposto della giostra vedo mio padre e mia madre vestiti a festa. Cosa ci fanno qui? Non li vedo da mesi, anzi forse tutti quei mesi sono diventati anni. Mi capita di chiamare mia madre, più per il senso di colpa che mi porto dentro nei loro confronti, ma in un minuto la telefonata si chiude. Alzano la mano, si sbracciano per salutarmi, sembrano chiamarmi, ma non li sento la musica è troppo forte, i cavalli ripartono quasi irritati ed io non li vedo più.

– Matteo muoviti! – di nuovo questa voce alle mie spalle, è Sergio bello come da bambino – siamo in ritardo come al solito – sbuffa sistemandomi la cravatta. È vestito bene, una camicia bianca con le maniche arrotolate fino ai gomiti sotto a un gilet grigio, dei pantaloni neri sopra alle solite scarpe eleganti e lucide. È bello il mio Sergio, potrebbe sembrare un modello.

– Hai freddo? – chiedo vedendolo srotolare le maniche.

– Un po’, sei solo tu che ami questa stagione e questo via vai di foglie mosse dal vento.

– Amo un sacco di cose – mi tolgo la giacca e gliela passo, lui a modo suo alzando le sopracciglia mi ringrazia.
– Affrettiamo il passo altrimenti al matrimonio di Martina e Sandro non ci arriviamo. Lo prendo per mano e lo bacio sulla fronte.

– Cosa fai Matteo! – sussurra ritraendosi imbarazzato.

– Un giorno sarà qualcun altro in ritardo per il nostro matrimonio!

Ride Sergio come se non ci credesse, ma io sono sicuro di questo, perché gli amori silenziosi sono quelli che fanno più baccano.

 

Pubblicato la prima volta su sito Emergenza Scrittura