Tempo – di Elisa Capitani

Sono qui, in questo locale bolognese che non frequento da anni, atmosfera tipo Chicago anni venti, luci soffuse raccolte nel velluto blu. Al centro il palco illuminato a giorno fa scintillare la tromba del musicista che sembra esibirsi da un’altra dimensione.
Tintinnii di ghiaccio nei bicchieri che dissetano spettatori assorti, disturbati di tanto in tanto da eleganti camerieri in divisa.
Mi siedo al bancone e ordino un Martini mentre le note di questa canzone mi avvolgono. Sono sola anche stasera, ma non volevo rimanere a casa. Ho lavorato tutto il giorno combattendo con telefono, computer, riunioni, tempo.
Il tempo sì, quello che di giorno manca sempre, quello che rincorriamo trafelati nei nostri quotidiani vorticosi movimenti, quello che invece di notte torna generoso a concedersi per farci assaporare il gusto di vivere. Stasera ho giocato con lui per prepararmi. L’ho impegnato a coccolarmi: un bel bagno rilassante, il mio vestito nero preferito quello con la scollatura profonda impreziosita da un giro di perle, raffinate ed eleganti. Trucco leggero, ben curato ad esaltare la profondità dei miei occhi, capelli lasciati morbidi attorno al viso. Seduta a questo bancone ora invece è il tempo a giocare con me, scorrendo piano, donandomi l’occasione di ascoltare, conversare, sorridere. In realtà però nessuno ha voglia di sedersi qui con me. Chi potrebbe fermarsi a conoscere una donna che è al bancone a bere un cocktail da sola? Troppo indipendente, emancipata, aggressiva, troppo donna. Della parità oggi la gente si riempie la bocca ma nel quotidiano ancora discrimina, eccome.
Come quelli laggiù, quella coppia. Lei un’acida fighetta di provincia con la puzza sotto il naso, lui ammaestrato a dovere. La vedo che gli bisbiglia nell’orecchio “guarda quella, sta solo aspettando qualcuno che se la porti in hotel”. Penso proprio che vorrebbe essere lui ad uscire con me, a giudicare dalle occhiate che mi lancia. Stasera
festeggiano l’anniversario, tappa obbligata per una coppia come quella. Parola d’ordine stupire altrimenti non si scopa nemmeno stasera. Normalmente la loro vita è di una noia mortale, sempre uguale. Dopo una giornata di lavoro, lui torna a casa e che si ritrova: una moglie che non fa altro che dirgli “muoviti che è pronta la cena”, “hai già
salutato tuo figlio”, “arrivi sempre più tardi” e lui ammutolito e servizievole, ubbidisce per non farla incazzare, nonostante dentro abbia una tempesta. E nel momento di andare a dormire lei, dopo essersi messa pigiama crema ed essersi pettinata i capelli, lo saluta senza nemmeno un bacio e così lui rimane sul divano assonnato e stanco e la
raggiunge dopo due ore, entrando nel letto e girandosi di spalle. E così giorno dopo giorno.

Queste persone si ostinano a mantenere per orgoglio o per una forma di moralismo una vita che non gli appartiene, rimangono sedati e innocui, finché un giorno prendono il coraggio a due mani ed esplodono in colpi di testa. E giù tutti a scandalizzarsi perché “era un gran lavoratore”, “era una bella famiglia, non capisco come sia potuto
succedere”…
Bene forse non rimpiango di avere questo tipo di vita. Preferisco stare seduta sola su questo sgabello, circondata da sconosciuti, in compagnia di un bicchiere. Forse non starò sorridendo ma quando lo farò, sarà ben diverso da quello di circostanza che vedo sul viso di quella ragazza.
Sorriderò quando entrerai da quella porta: elegante con il tuo completo in giacca, sicuro di te attraverserai il locale fissando solo me. Sorriderò abbassando lo sguardo, bagnandomi le labbra con l’ultimo sorso di Martini. Mi volterò e tu sarai lì “Buonasera… Che ne dice di sederci a quel tavolo e raccontarci le nostre vite sino ad oggi?”
Mi alzerò e insieme sfileremo sotto lo sguardo invidioso di lui e maligno di lei per i quali, fino a qualche minuto fa io, ero lo spettacolo migliore del mondo.