Cosa ne sapevamo noi, che il troppo amore avrebbe distrutto un matrimonio, ingannandoci ogni giorno, diventando abitudine.
Che ne sapevamo noi, a vent’anni, che non avremmo più dormito fino a tardi dopo una notte magnifica, che non saremmo più usciti per pigrizia, o per i figli, che il sonno te lo tolgono per sempre.
Che ne sapevamo noi, a vent’anni, che a quaranta saremmo finiti a fare un lavoro che odiamo, pagato male, che ci saremmo svegliati con la morte nel cuore, ma che per mangiare devi mandare a fanculo tutto, anche la dignità.
Che ne sapevamo noi, che viaggiare sarebbe stato ancora un lusso e che saremmo finiti a vivere nel buco del culo del mondo, dove non passano nemmeno gli autobus, figuriamoci un treno.
Che ne sapevamo noi, a vent’anni, che saremmo finiti disgraziati, senza empatia, senza voglia di rivalsa – perché manco sappiamo cos’è, la rivalsa – noi che saremmo finiti senza pretese, senza sogni, senza prospettive, apatici davanti a uno schermo.
Che cazzo ne sapevamo noi, a vent’anni, che passavamo da una donna all’altra, da una birra all’altra, da una sigaretta all’altra, tutti stretti dentro un paio di jeans e una t-shirt logora, con un portafoglio attaccato a una catena e delle scarpe sfatte, che a quaranta avremmo avuto il cuore bucato, insieme al cervello e alle mani.
Ci saremmo accorti che i sogni sono truffe che il cervello mette in atto per farci credere di essere ancora vivi.
Che ne sapevamo noi, a vent’anni, che a quaranta avremmo visto morire i nostri amici, senza averli salutati, senza aver stretto loro la mano, senza avergli chiesto perché, a vent’anni, non avessimo mai pensato a quando ne avremmo avuti quaranta.
Perché, se l’avessimo fatto, ci saremmo sentiti in obbligo con noi stessi.
Ci saremmo detti che avremmo dovuto scegliere una vita che ci regalasse qualcosa di più di una piccola esistenza.
Ma del resto, la nostra generazione è fatta di ossa e cancro.
Quello che ti mangia la pelle e l’anima, e non ti lascia nulla.